05 ottobre 2024
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Stati generali del welfare. Criticità e strategie per il lavoro del futuro

Dialogo intergenerazionale, pari opportunità, prospettiva di medio lungo termine, sostegno al ruolo e al senso dell’impegno professionale. Queste le principali direzioni da intraprendere per le organizzazioni del Terzo Settore alle prese oggi con la crisi del lavoro.

Il tema del lavoro è stato al centro della seconda edizione degli Stati generali del welfare in Trentino – intitolata “Sul lavoro: il valore tra equivoci e pregiudizi” – che si è tenuta oggi a Trento grazie all’organizzazione di Consolida, CNCA, CSV Trentino – Non profit network, Cooperazione Trentina in collaborazione con la Consulta provinciale delle politiche sociali.

Una giornata che ha messo al centro la profonda trasformazione che il lavoro sta attraversando con l’obiettivo di trovare politiche e strategie organizzative e culturali capaci di garantire benessere e valorizzazione degli operatori del welfare e di rendere maggiormente attrattive le organizzazioni del Terzo Settore che in Trentino rappresentano un pilastro fondamentale della coesione e dello sviluppo economico.

Da tempo “la crisi del lavoro” occupa il dibattito pubblico e quello mediatico racchiudendo in questa espressione fenomeni che le organizzazioni vivono quotidianamente e che stanno diventando sempre più stringenti: la mancanza di operatori, l’aumento delle dimissioni, l’emergere del cosiddetto quite quitting o “abbandono silenzioso”, le crescenti manifestazioni di insoddisfazione e di frustrazione. Siamo immersi in una profonda trasformazione che mette seriamente in discussione il modello di vita la cui unica priorità è il lavoro.

Nell’ambito del lavoro sociale, questa trasformazione si colloca quasi paradossalmente dentro un progressivo crescere dei bisogni sociali, educativi e assistenziali delle comunità locali e impatta sulle organizzazioni del Terzo Settore, sulla loro capacità attrattiva e produttiva e quindi sulla tenuta complessiva del welfare trentino.

“Questa giornata – ha detto Francesca Gennai, presidente di Consolida – è stata un’occasione per parlare di equivoci e pregiudizi legati al mondo del lavoro, e del fatto che lo stesso lavoro non è più il fulcro della vita delle persone. Dopo un percorso di ascolto e dialogo sui territori di decine di organizzazioni sociali, questo è stato insomma un momento di riflessione collettiva che ci aiuta a ripensare la nostra cultura organizzativa e a come tenere dentro le persone che operano nelle nostre organizzazioni”.

“Nella mia generazione – ha aggiunto Italo Monfredini, vicepresidente vicario della Federazione Trentina della Cooperazione portando i saluti del presidente Roberto Simoni – il lavoro si fondava su due pilastri: la durata e la retribuzione. Le nuove generazioni stanno smontando questo concetto ricreandone uno nuovo”.

“Per far cogliere l’importanza del lavoro di cura delle persone – ha aggiunto Paolo Tonelli, presidente della Consulta provinciale delle politiche sociali – bisogna agire sui giovani fin nelle scuole”.

Ma i giovani per cosa sono disposti a lavorare oggi? Ha provato a rispondere a questa domanda l’Associazione Giovani Cooperatori Trentini, che ha realizzato una ricerca coinvolgendo 135 persone tra 18 e 35 anni. Come ha spiegato la presidente Ilaria Rinaldi, è emerso che i giovani ritengono che la cosa più importante nella ricerca di un lavoro sia la garanzia di flessibilità e la possibilità di valorizzazione, professionale ma anche retributiva. Il ‘posto fisso’, e quindi la dimensione della sicurezza del lavoro, è solo la quinta delle preferenze. Per il 75% dei giovani che hanno risposto, è fondamentale trovare un lavoro che garantisca un buon equilibrio con la propria vita privata che consenta di stare bene.

“I giovani – ha aggiunto Aaron Giazzon direttore di Apas – ci tengono a definire bene quale può essere il loro supporto in un contesto professionale e a sentirsi subito adeguati. A non essere considerati, insomma, ‘bocia per sempre’”.

L’impressione, dunque, è che il tavolo della selezione si sia rovesciato e non sia più l’azienda a valutare i candidati, ma sia il candidato a selezionare l’azienda che fa per lui, come testimoniato da Paolo Fellin, presidente della cooperativa Vales. “Dobbiamo lavorare – ha aggiunto – per aumentare la nostra capacità di attrarre personale e di dare dignità al lavoro che facciamo. La firma del contratto integrativo in questo senso è stata importante”.

Un buon contributo al dibattito è arrivato dalla relazione di Alessandro Pirani, di Kopernicana, che ha suggerito di agire nella partica i principi che hanno dato vita alla cooperazione. Qualche esempio? Il principio della porta aperta deve essere declinato come accompagnamento organizzato e progettato all’ingresso nel nuovo lavoro. E l’intergenerazionalità come mentoring, cioè come dialogo e passaggio di informazioni e competenze tra chi entra e chi ha già esperienza. “Servono rituali formalizzati – ha detto – per rafforzare la continuità culturale e operativa nella cooperativa”.

Che caratteristiche deve avere, dunque, il buon lavoro? Secondo Andrea Grosselli, segretario generale Cgil trentino, la dimensione centrale è quella del tempo. In Italia si lavora oltre 400 ore in più all’anno rispetto alla Germania e ad altri paesi europei. Per un numero maggiore di anni e con salari inferiori. “Per questo siamo meno attrattivi” ha concluso il sindacalista che ha sollecitato la pubblica amministrazione a investire più risorse nel welfare, suggerendo la creazione di un ente multilaterale per il lavoro sociale, con Cooperazione, sindacati, pubblica amministrazione e ricerca.

Secondo Valentina Visioli, direttrice di Abilnova, invece, il fulcro sta nella capacità di progettare a lungo termine, per dare prospettiva e quindi futuro. “Ma è complicato farlo in un mercato come il nostro – ha detto – dove tutte le regole sono dettate dall’ente pubblico”. La cosa diventa ancora più complessa, poi, quando la politica assume un orizzonte temporale più breve, come accennato da Roberto Pallanch, dirigente Umse disabilità ed integrazione socio–sanitaria della provincia Autonoma di Trento.

Tra gli ospiti la scrittrice e giornalista Lidia Rivera che si è concentrata sulle donne al lavoro (“Alle donne – ha detto – viene posta una domanda indecente, cioè scegliere tra dare la vita ed occuparsi della propria vita. Le donne quando entrano nel mondo del lavoro sentono fischiare questo motivetto; quindi, al primo figlio tornano a casa o rinunciano”) e lo storico della mentalità Francesco Filippi che ha puntato sulla narrazione del concetto di lavoro (“Nella narrazione passata, il lavoro è dovere e diritto. Diritto perché creava una sorta di promessa di progresso, di ricchezza futura, di strumento per realizzare i sogni. E ciò è avvenuto. Ogni generazione ha compiuto dei progressi rispetto alla precedente. Fino al 2000. Chi è nato dopo, rappresenta la prima generazione che starà peggio di quella dei genitori, perché si è rotta l’ascesa. E questo ha cambiato il lavoro e la sua narrazione”).

Giusi Biaggi, presidente del consorzio nazionale Cgm, ha raccontato come il Consorzio stia puntando sulla cura della comunicazione (che non deve essere un semplice passaggio di informazioni) e sull’organizzazione, che deve essere aperta, cioè, dare la possibilità di maturare processi decisionali in modo trasversale e a tutti i livelli.

Un esempio positivo di narrazione efficace è stato presentato da Francesca Fiori, coordinatrice di CSV Trentino – Nonprofit network, che ha raccontato come la campagna ‘Volontari gente felice’ realizzata in occasione di Trento capitale europea del volontariato abbia messo in luce che le persone non si attivano per spirito di sacrificio, ma per cercare una gratificazione diversa, cioè quella di fare la differenza. “La grande sfida – ha detto – è quella di creare spazi di cambiamento”.

Massimo Komatz, coordinatore di Villa Sant’Ignazio, ha concluso sull’importanza della narrazione del lavoro sociale rispetto alla valorizzazione e all’attrattività delle professioni del welfare e del volontariato: “Più il sistema è regolamentato e cerca di inquadrare i bisogni meno è efficace, perché spesso i bisogni reali sono quelli inespressi”.

Autore: Dirce Pradella