05 giugno 2024
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Lavoro e motivazioni, nuove strategie possibili per affrontare il problema della carenza di personale

Se ne è parlato ieri al convegno organizzato ieri da Consolida con due fra i più grandi esperti nazionali del tema: il giuslavorista Francesco Seghezzi, presidente di Adapt, e Luca Solari, professore dell’Università degli Studi di Milano

Nella cantina del Gruppo Mezzocorona si sono riuniti ieri rappresentanti di Terzo Settore, cooperazione, imprese for profit e sindacati, per discutere della difficoltà di trovare e trattenere personale che negli ultimi anni e in misura crescente, affrontano moltissime imprese, trasversalmente ai diversi settori. Moderati da Flaviano Zandonai, open innovation manager del consorzio nazionale CGM, e introdotti da Francesca Gennai, presidente di Consolida, il consorzio delle cooperative sociali, i due esperti nazionali hanno analizzato la profonda trasformazione del lavoro, le cause che l’hanno originata e hanno suggerito possibili strategie per affrontarla.

Il lavoro perde appeal

Secondo la recente ricerca IPSOS, per i giovani dai 18 ai 34 anni il lavoro si colloca in una scala valoriale complessiva solo all’ottavo posto ed è principalmente considerato una fonte di reddito; per pochi ha un legame con la dignità e lo status sociale. Mentre il recente rapporto del Centro Studi Einaudi mostra come sempre più giovani italiani scelgono di cercare opportunità all’estero. «Sono questi – ha affermato Gennai – solo alcuni dati tratti dai numerosi studi che negli ultimi anni hanno analizzato le dinamiche trasformative del mondo del lavoro. Post covid ci siamo misurati con le grandi dimissioni, poi con “un ritorno al lavoro” che ha messo in discussione e scardinato la relazione fra tempi, spazi, identità e relazioni. Nella quotidianità delle nostre imprese incontriamo persone che già praticamente si sono licenziate, il cosiddetto quiet quitting. Oggi le persone, e non solo i giovani, sono sempre di meno il loro lavoro, sia nel senso che non legano più la loro dignità e il loro status sociale a quello che fanno, sia perché “partecipano al mondo”, immaginando e declinando il loro contributo alle sfide collettive, al di fuori dei contesti produttivi. Sono attratti dalla flessibilità e, legittimamente, dal compenso, alimentando così il nomadismo professionale che si accompagna a dinamiche concorrenziali tra le imprese che ormai si contendono i lavoratori».

Per Gennai l’obiettivo dell’incontro era quello di acquisire sempre più consapevolezza di questi fenomeni e costruire un pensiero comune che aiuti a definire strategie condivise per affrontare il presente e costruire un futuro equo. Un obiettivo che interroga anche la cooperazione sociale che si prende cura dei bisogni fondamentali della comunità, ma che nel farlo ha forse messo meno a fuoco la centralità delle persone con cui ogni giorno persegue questo obiettivo statutario.

La tempesta perfetta

Per Francesco Seghezzi, presidente di Adapt, in collegamento da remoto, il mercato del lavoro è certamente diventato più dinamico: dopo due anni di blocco nel periodo della pandemia la concorrenza è esplosa. A questo si aggiunge il progressivo calo demografico di cui si cominciano a registrare gli effetti anche sotto il profilo occupazionale.  «A questi dati – ha detto Seghezzi – vanno aggiunti i movimenti sulla scala valoriale originati nel periodo pandemico, quando ha cominciato ad emergere una maggiore attenzione su salute e famiglia rispetto al lavoro. Si è creata così una tempesta perfetta».

«Sul piano motivazionale – ha aggiunto il professor Luca Solari – conta anche il fatto che le persone che oggi si affacciano sul mondo del lavoro hanno mediamente un livello di formazione più alto di un tempo e si aspettano quindi di avere un ruolo e uno stipendio commisurati a quanto hanno investito nello studio. A queste trasformazioni, però, continuiamo a rispondere con una scarsa produttività e modelli organizzativi vecchi basati, ad esempio, su un tempo di permanenza media dei lavoratori in azienda più alto di quello che le persone ora sono disposte ad accettare. La cooperazione sociale da questo punto di vista ha un potenziale di maggior flessibilità organizzativa e offre alle persone, almeno potenzialmente, maggiore varietà, anche se questo costa molta fatica. Può pesare ad esempio sui livelli manageriali e di coordinamento che sono chiamati ad un plus di impegno per gestire un modello organizzativo ‘decentrato’».

Nuove possibili strategie

La difficoltà di reperire personale si registra anche nell’ambito dei servizi di cura ed educativi tipici della cooperazione sociale. Settori che, come ha sottolineato Seghezzi, sono a forte contenuto relazionale, poco o nulla toccati dalle innovazioni tecnologiche, e di cui non emerge il reale valore se misurati in base alla sola logica, ancor oggi prevalente, della produttività. «Siamo di fronte ad una sfida interessante per la cooperazione sociale che è chiamata a strutturarsi per stare sul mercato senza però perdere la natura relazione dei suoi servizi; natura che peraltro risponderebbe alle “nuove” aspirazioni che emergono nel mondo del lavoro». Per farlo occorre trovare nuove strategie che valorizzino i lavoratori trovando meccanismi ulteriori al contratto che ha funzioni regolativa e di integrazione salariale; si potrebbe puntare, ad esempio, secondo il presidente di Adapt, su elementi come il coinvolgimento e su un sistema di premialità che però vada oltre la negoziazione individuale per diventare prassi organizzativa.

La difficoltà di trovare lavoratori nell’ambito delle professioni del welfare si collega, per Solari, anche ad un cambio antropologico: oggi è molto più faticoso gestire relazioni. Nelle professioni sociali ed educative le relazioni sono prevalenti e questo riduce la possibilità di controllo – del tempo dedicato, dell’intensità, ecc. – del lavoratore. Solari si è anche soffermato sulla crescente attenzione nel mondo delle imprese al diversity management, sottolineando come ci sia il rischio, da un lato, che quella che era una spinta “rivoluzionaria” si trasformi in una pratica di compliance e rendicontazione perdendo in autenticità, dall’altro che si finisca per categorizzare le relazioni rendendo le persone monodimensionali, continuando a trascurare quella che rappresenta la più forte causa di discriminazione: l’appartenenza sociale di origine.

Autore: Redazione