Casse Rurali, Simoni: valori radicati, ma riflettiamo sul senso del limite. La cooperazione è fatta di condivisione, non di iniziative individuali
“Certi progetti mettono in discussione natura e missione di una cooperativa di credito, come gli ambiti geografici e la denominazione sociale. Sono obiettivi strategici di rottura che preoccupano i soci e i territori limitrofi”.
“Occorre interrogarci sul senso del limite. Se si cambia lo schema di gioco serve un nuovo ‘patto sociale’, un traguardo collettivo e raggiunto insieme, non una corsa solitaria contro tutti. No alle spallate individuali”.
I valori della cooperazione sono forti e radicati, ma occorre interrogarci sul senso del limite e i rischi di fughe in avanti rispetto al modello cooperativo consolidato e condiviso da tutti.
Il presidente della Cooperazione trentina Roberto Simoni nella sua introduzione al convegno sul presidio territoriale del credito cooperativo è intervenuto oggi sul progetto di nuova banca regionale che metterebbe in discussione i paradigmi secondo i quali finora sono stati declinati la natura e la missione di una cooperativa di credito.
“Obiettivi strategici di rottura preoccupano i nostri soci e i territori limitrofi (con particolare riguardo al vicino Alto Adige), ambizioni dimensionali apparentemente non giustificate da oggettive esigenze di stabilità e rafforzamento patrimoniale.
Ma soprattutto – ha proseguito Simoni - siamo di fronte a decisioni che stanno maturando con un metodo che tiene in scarsa considerazione il confronto con tutti gli attori potenzialmente coinvolti: perché si tratta di scelte che impattano non solo sulle cooperative direttamente interessate, che legittimamente esercitano uno spazio di autonomia valutativa e decisionale, ma sull’intero ecosistema territoriale della cooperazione di credito. E che perciò dovrebbero suggerire l’ascolto e il coinvolgimento preventivo anche di chi rappresenta tutta la cooperazione trentina.
Del resto, le sfide che oggi attendono la cooperazione non riguardano solo la sua capacità di competere, di innovare, di rendersi più sostenibile, di stare sul mercato. Riguardano anche il suo modello di partecipazione democratica, che è una delle coordinate fondamentali che sin dalle origini hanno giustificato l’affermazione di una forma di impresa diversa da quella capitalistica.
Una cooperativa di credito che deve rispondere ai bisogni e alle aspettative di decine di migliaia di famiglie e di imprese non può non interrogarsi sulle modalità con cui garantire un senso di appartenenza diffuso alla propria comunità di riferimento, e un adeguato livello di responsabilità della classe dirigente verso la base sociale. Altrimenti si rischia di veder affievolito, se non irrimediabilmente compromesso, il processo di legittimazione dei vertici aziendali e – come è avvenuto per molte banche ormai purtroppo ex-popolari – di assistere a un livello crescente di auto-referenzialità della classe dirigente.
Certi limiti esistono, forse, anche per essere superati, perché sono limiti convenzionali. Ma il superamento di questi limiti richiede una nuova convenzione, un nuovo “patto sociale”. Il superamento di certi limiti dev’essere un traguardo collettivo, elaborato e raggiunto insieme, non una corsa solitaria contro tutti.
La storia recente della cooperazione di credito trentina è ricca di spirito di iniziativa, di coraggio, di apertura a soluzioni inedite, che le hanno fatto raggiungere traguardi inimmaginabili fino a vent’anni fa. Ma questi risultati sono stati raggiunti grazie alla condivisione degli obiettivi e delle sfide, non in virtù di spallate individuali.
Infine, non dimentichiamo che tutta la cooperazione di credito italiana è impegnata in una difficile sfida per far comprendere ai regolatori europei la necessità di una maggiore proporzionalità della normativa bancaria.
Questa sfida si basa sul presupposto che le nostre cooperative di credito hanno natura, funzioni, dimensioni e complessità operativa sostanzialmente diverse da quella delle altre banche. Se questo differenziale si assottiglia troppo, viene meno la credibilità della nostra battaglia, soprattutto a discapito delle Casse Rurali e BCC di minori dimensioni, che operano nelle aree interne, in montagna, insomma nei territori fragili di cui parleremo anche oggi, per le cui popolazioni rappresentano spesso uno degli ultimi baluardi contro l’omologazione e la perdita di identità.
Prima di abbandonare queste preziose realtà al loro destino, lasciandole sole a combattere un’impari lotta con i colossi del credito, pensiamoci bene”.